Venerdì, 15 Marzo 2024 14:15

Dissalatore sul Tara: forti gli impatti e le criticità, meglio soluzioni alternative

Legambiente Taranto ha presentato le proprie Osservazioni nel procedimento di valutazione di impatto ambientale relativo alla realizzazione dell'impianto di dissalazione delle acque salmastre delle sorgenti del Tara e delle condotte di adduzione dell'acqua potabilizzata e di scarico della salamoia.
Per l'associazione il progetto presenta forti impatti negativi e criticità. Legambiente Taranto chiede di valutare le alternative, a partire dall'apporto del Sarmento e del Sauro e dall'implementazione della riduzione delle perdite, che appaiono in grado di fornire risorse idriche in quantità di gran lunga superiori a quelle che l'impianto di dissalazione dovrebbe produrre e  di conseguire perciò l'obiettivo della riduzione del prelievo dai pozzi senza che sia necessaria la sua realizzazione.

Di seguito il testo integrale delle Osservazioni

PREMESSA

Le conseguenze via via sempre più rilevanti del cambiamento climatico in atto, manifesto nel surriscaldamento globale del pianeta causato dalle immissioni di anidride carbonica in atmosfera, rendono stringente la necessità di considerare l'acqua una risorsa preziosa e limitata di cui disporre con grande attenzione.

E' questo il motivo per cui appare necessaria una crescita complessiva, nei cittadini e negli operatori economici, della consapevolezza di dover fare i conti con questa limitatezza, da un lato eliminando gli sprechi e i consumi superflui, dall'altro razionalizzando gli usi produttivi e considerando la risorsa idrica come destinata a diventare sempre più costosa, rivedendo e, quando necessario, eliminando usi che risultino non più compatibili con la sua effettiva disponibilità.

Questo è specialmente vero in una regione come la Puglia, che non dispone di fonti proprie e che quindi sarà sempre dipendente dagli apporti rivenienti da altre regioni italiane: i numeri dicono con chiarezza che non esiste la possibilità di renderci autonomi e che quindi la sicurezza degli approvvigionamenti va perseguita attraverso un proficuo e costante confronto con le altre regioni e che essa dipende in primo luogo dalla capacità di garantire sufficienti apporti idrici sia in Puglia che nelle regioni da cui dipendiamo.

Prioritario, in questo senso, è un efficientamento della rete idrica, che persegua una drastica riduzione delle perdite. Si tratta di un tema che solo negli ultimi anni ha ricevuto la dovuta attenzione e che costituisce la prima risorsa cui fare riferimento nella ricerca di soluzioni alla richiesta di acqua, cui vanno affiancate la costituzione di riserve idriche in cui accantonare l'eccesso di precipitazioni sempre più concentrate in brevi periodi e con, a volte, effetti devastanti sul territorio, e la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento.

Per ciò che concerne la protezione della falda dall'ingressione marina, non da ultimo, ma anzi come obiettivo prioritario, va sempre sottolineato quanto sia indispensabile investire in impianti di fitodepurazione, che permettano di chiudere il ciclo dell'utilizzo delle acque, attualmente disperse in mare tramite condotte sottomarine. Possiamo anzi dire che l'uso di acque depurate in agricoltura vale il doppio: da un lato permette di ridurre i prelievi da falda o da altre opere di adduzione superficiale, dall'altro reintegra in modo diretto la falda stessa. A questo si deve anche sommare il valore aggiunto per la biodiversità delle aree umide di neoformazione, così come la loro potenzialità per la produzione di biomassa a fini energetici (come nel caso della Phragmites australis), che possono essere condotte con operazioni di raccolta programmate per rispettare i cicli biologici dell'avifauna.

LE SOLUZIONI ALTERNATIVE AL DISSALATORE

IL SARMENTO ED IL SAURO

Il progetto di costruire un dissalatore che utilizzi le acque salmastre del fiume Tara si inquadra all'interno di questo quadro complessivo e, a causa degli elevati consumi di energia che richiede e degli effetti negativi sull'ambiente e sull'ecosistema che comporta, può essere preso in considerazione solo dopo aver valutato e percorso tutte le altre opzioni di approvvigionamento praticabili o, eventualmente, aver motivato la loro esclusione.

Nel caso specifico noi riteniamo che questo non sia avvenuto e che vada in primo luogo considerata una ipotesi che non risulta tra quelle poste a confronto nello studio di impatto ambientale che accompagna il progetto e che, a nostro avviso, meglio risponde all'obiettivo dichiarato del progetto, costituito dalla esigenza di ridurre il prelievo effettuato tramite pozzi dalla falda, esigenza quest'ultima da noi condivisa.

Ci riferiamo all'apporto che l'attivazione della traversa Sarmento posta sull'omonimo torrente in Basilicata, può apportare al bacino del Sinni.

Attesa da oltre 40 anni, considerato che i lavori sono iniziati nel 1982, con portata massima di 25 metri cubi al secondo, al momento non fornisce disponibilità in quanto sono ancora in fase di completamento le opere di adduzione all'invaso del Monte Cotugno, Dovrebbe portare nella diga circa 80 milioni di metri cubi di acqua in più all'anno: una quantità quadrupla rispetto a quella che si ipotizza possa rivenire dal dissalatore sul Tara.

Si tratta di un apporto finora mai canalizzato, e quindi mai computato al bacino, la cui entità appare perfettamente in grado di corrispondere al perseguimento dell'obiettivo di eliminare l'eccessivo emungimento dei pozzi che ha già portato ad una crescente intrusione di acqua marina in falda, permettendo quindi la ricostituzione di questa indispensabile riserva idrica e proteggendola dalle infiltrazioni di acque con maggior contenuto salino.

Si tratta di un apporto che, in base al tempo già trascorso ed a quanto riferito finora dai mezzi di informazione, riteniamo possa essere considerato realizzabile con costi molto contenuti in tempi brevi o perlomeno rapportabili a quelli di realizzazione del dissalatore, tenuto conto che si tratta di un progetto giunto alle fasi finali di una gestazione durata ormai 40 anni.

Un apporto che non sconta le negatività proprie del dissalatore sul fiume Tara, sia in termini di impatto ambientale che sulla qualità della biodiversità del fiume, ha un minor costo d'esercizio, consente di dirottare sugli obiettivi di riduzione delle perdite – da perseguire in ogni caso – le consistenti risorse economiche ad esso destinate, pari a circa 92 milioni di euro, per una produzione totale annua stimata di circa 20 milioni di metri cubi di acqua potabile.

A quello riveniente dalla canalizzazione delle acque del Sarmento va aggiunto l'apporto che può rivenire dalla canalizzazione delle acque del Sauro, altro torrente lucano, con portata massima di 12 metri cubi al secondo, che attualmente non fornisce disponibilità perché in fase di ricostruzione.

Grazie ad entrambi gli apporti si realizzerebbe una capacità di maggiore resilienza del sistema idrico pugliese e anche, considerate le quantità di portata complessive, di quello lucano.

LA RIDUZIONE DELLE PERDITE

L'apporto riveniente dal Sarmento prima e dal Sauro poi si affiancherebbe peraltro alle attività di riduzione delle perdite indicate da Acquedotto Pugliese .

Tali perdite, in base ai dati ISTAT, superano il 43% dell'acqua immessa in rete. In base alle regole fissate da Arera, per la Puglia la riduzione dovrebbe ammontare al 5% in meno all'anno, pari a circa 12 milioni di metri cubi all'anno, mentre - allo stato attuale, per quanto noto - non arriva a 5.

A tale proposito rileviamo che nello studio di impatto ambientale viene fornita una precisa elencazione dei comuni che saranno interessati da attività di efficientamento unitamente all'indicazione degli impegni finanziari e dei chilometri di rete oggetto di manutenzione con una scansione temporale che distingue gli interventi già effettuati, quelli che avranno termine nel 2029, e quelli per i quali l'orizzonte temporale indicato supera i 20 anni, concludendosi nel 2045.

Non viene però fornita alcuna stima delle quantità di risorsa idrica che si presume possano essere ricavate da tale attività, con particolare riferimento allo scenario 2029, prossimo a quello in cui si indica dovrebbe entrare in funzione il dissalatore sul Tara.

L'assenza di tali indicazioni rende l'affermazione contenuta nel SIA -di incapacità degli interventi di efficientamento della rete ad assolvere nell'immediato futuro alle necessità e carenze di risorse idriche- priva di riscontri: appare necessario che AQP fornisca innanzitutto una stima accurata della riduzione di perdita attesa - a partire da quella connessa agli interventi con orizzonte temporale 2029, prossimi a quelli di realizzazione dell'impianto di dissalazione- onde consentire una valutazione effettiva dell'apporto che gli interventi manutentivi possono dare al complessivo approvvigionamento regionale e, quindi, delle effettive necessità idriche residuali.

Riteniamo inoltre che, ove tale stima risulti inferiore all'obiettivo indicato da ARERA, Acquedotto Pugliese debba implementare le attività di efficientamento della rete allo scopo di raggiungerlo.

Va inoltre considerato l'apporto stimato in 500 metri cubi al secondo che, sia pure per usi non potabili, potrebbe rivenire dall'uso dei reflui affinati dei depuratori Gennarini e Bellavista, atteso dal lontano 1994, per usi irrigui o, come inizialmente previsto e poi prescritto nell'Autorizzazione Integrata Ambientale del 2011 per l'ex Ilva, per far fronte alle necessità idriche dell'impianto siderurgico.

In ogni caso la sommatoria degli apporti rivenienti dal Sarmento e dal Sauro, unitamente alla riduzione delle perdite della rete, fornisce con tutta evidenza cifre consistenti, di gran lunga superiori all'apporto riveniente dalla costruzione di un dissalatore che, secondo il progetto, dovrebbe garantire una erogazione a pieno regime di 630 litri al secondo, per un totale di poco inferiore a 20 milioni di metri cubi all'anno: lo stesso quindi, non risulta giustificato poiché non si sono valutate tutte le altre opzioni di approvvigionamento praticabili e non si è motivata la loro esclusione.

GLI IMPATTI NEGATIVI DEL DISSALATORE

Solo nel caso gli apporti aggiuntivi del Sarmento e del Sauro e della riduzione di perdite risultassero non conseguibili o -per motivi a noi non noti- insufficienti a coprire il fabbisogno ipotizzato per consentire lo spegnimento di una parte dei pozzi, è utile esaminare il progetto del dissalatore e le sue considerevoli criticità per ridurne gli impatti negativi sull'ambiente, sulla biodiversità, sul paesaggio. Peraltro nel progetto non vengono identificati i pozzi che sarebbero disattivati e, quindi, non viene fornita alcun elemento certo riguardo la effettiva riduzione di emungimento dalla falda.

L'IMPATTO AMBIENTALE

Il progetto di costruire un dissalatore presso le sorgenti del fiume Tara dovrebbe, nelle intenzioni di chi lo propone, contribuire ad affrontare i problemi idrici derivanti dalla riduzione della quantità d'acqua presente negli invasi che alimentano il sistema idrico pugliese. Una riduzione causata da una forte diminuzione delle precipitazioni che, a sua volta, è solo uno dei frutti avvelenati della crisi climatica scatenata dall'incremento dell'anidride carbonica presente in atmosfera e di cui l'altra faccia della medaglia è costituita dal moltiplicarsi dei fenomeni intensi, delle bombe d'acqua con cui ormai facciamo periodicamente i conti.

Nonostante dal progetto definitivo sia stata eliminata l'ipotesi di costruire una centrale a turbogas per sopperire ai considerevoli fabbisogni energetici del dissalatore, lo stesso risulterebbe responsabile di un consistente incremento delle emissioni di CO2 in atmosfera, con un impatto negativo sull'ambiente in termini di emissioni climalteranti. Con un effetto paradossale: il dissalatore, nato per rispondere alle carenze idriche generate dagli eccessi di presenza di anidride carbonica in atmosfera, costituirebbe una causa non piccola di aggravamento delle emissioni di CO2 e, quindi, del surriscaldamento globale del pianeta da cui scaturisce il dramma della desertificazione dei territori e della siccità.

Secondo quanto riportato nel progetto, infatti, per produrre un massimo di 630 litri di acqua potabile al secondo, sarebbero necessari, all'anno, ben 30.755.169 kwh. Se consideriamo un consumo medio di circa 2700 kwh annui per una famiglia costituita da 3/4 persone, il dissalatore consumerebbe perciò quanto 11.400 famiglie, circa 40.000 persone, 8mila in più degli abitanti del comune di Massafra, quanto un ipotetico terzo comune per numero di abitanti nella provincia di Taranto (il secondo, Martina Franca, ne avrebbe solo 7mila in più).

Una contraddizione che riteniamo assolutamente insostenibile.

L'apporto fornito da energie rinnovabili ipotizzato è assolutamente risibile in termini percentuali e tale da non poter affermare che sia stata effettivamente presa nella giusta considerazione la necessità di rendere neutrale, rispetto alle emissioni climalteranti, la presenza del dissalatore evitando che lo stesso, sia pure in forma indiretta, attraverso l'alimentazione scelta che è costituita dalla fornitura di energia elettrica dalla rete nazionale, di fatto si alimenti in maniera prevalente dall'utilizzo di fonti fossili.

Per produrre con fonti rinnovabili una parte del fabbisogno energetico, nel progetto è infatti prevista la costruzione di un impianto fotovoltaico con una produzione stimata di 1.252.993 kwh, pari ad un misero 4% del fabbisogno che, al netto, si attesterebbe a 29.502.176 kwh.

Il dissalatore sarebbe perciò responsabile della produzione di12mila tonnellate di anidride carbonica all'anno, l'equivalente delle emissioni annue di circa 7mila automobili alimentate a benzina.

Anche considerando il risparmio energetico ipotizzato per il ridotto emungimento dai pozzi del Salento di una quantità di acqua potabile pari a quella producibile a pieno regime dal dissalatore (ipotesi che riteniamo irrealistica anche solo considerando che per alcuni mesi -rispettando lo scenario ALTERED 21 ipotizzato dal Politecnico di Torino nel suo studio allegato al progetto- la capacità produttiva dell'impianto di dissalazione sarebbe ridotta di circa il 30%), pari a 13.907.376 kwh, il fabbisogno energetico netto – e le conseguenti emissioni di CO2 - resta elevato, essendo pari a ben 15.594.800 kwh.

Siamo di fronte a cifre inaccettabili: non è possibile  non considerare la necessità improrogabile di perseguire l'obiettivo dell'azzeramento delle emissioni di anidride carbonica producendo l'energia necessaria per il funzionamento del dissalatore solo attraverso l'utilizzo di fonti rinnovabili.

Segnaliamo a tale proposito che il progetto del dissalatore, incluso inizialmente in quelli proposti per l'utilizzo delle risorse del Just Transition Fund non è stato ritenuto idoneo dalla Commissione VIA VAS del Ministero dell'Ambiente che ha giudicato gli obiettivi strategici "Minimizzare le emissioni e abbattere le concentrazioni inquinanti in atmosfera" non influenzati positivamente dall'intervento proposto,innanzitutto a causa degli elevatissimi consumi energetici.

In riferimento all'ottemperanza ai principi DNSH il progetto non rispetta le indicazioni di prediligere fonti rinnovabili per l'approvvigionamento energetico né, di fatto, il divieto di utilizzo di fonti fossili considerato che l'energia elettrica destinata ad alimentarlo – riveniente dalla rete elettrica nazionale secondo quanto riferito in progetto – risulta prodotta prevalentemente con fonti fossili.

Il progetto, inoltre, non garantisce che il livello delle emissioni di gas ad effetto serra da esso derivanti sia coerente con l'obiettivo della neutralità climatica al 2050. Esso non risponde quindi alle indicazione del Regolamento sulle Disposizioni Comuni (Regolamento (UE) 2021/1060 del Parlamento Europeo .

Per sanare questo paradosso appare necessario perlomeno prescrivere che il dissalatore venga alimentato esclusivamente tramite l'acquisto certificato di energia elettrica riveniente da fonti rinnovabili e che Acquedotto Pugliese si faccia carico della costruzione in ambito regionale, in un arco di tempo ben delimitato e correlabile con quello necessario alla realizzazione dell'impianto di dissalazione, di nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili per una produzione pari a quella necessaria a rifornire il dissalatore stesso .

L'IMPATTO SULL'ECOSISTEMA

Un'altra forte criticità del progetto è costituita dagli effetti negativi sullo specifico ecosistema del Tara, caratterizzato da una elevata fragilità, alla luce delle considerazioni riportate dal rapporto di Arpa Puglia allegato alla documentazione progettuale che costituiscono fonte di grande preoccupazione.

In esso si legge che "...seppur non evidenzino criticità legate alla potenziale contaminazione da parte di sostanze chimiche, pur tuttavia è stata verificata una generale scarsa qualità dello stato ecologico se riferito alle componenti biologiche del Macrobentos e delle Macrofite" e che "...il livello di qualità "scarso" del corpo idrico per quanto riguarda la componente biotica animale e vegetale rappresenta un elemento di criticità. Esso è risultato come caratterizzato da un ecosistema con una scarsa diversità biologica e quindi potenzialmente non in grado di sopportare variazioni di natura strutturale- come importanti variazioni di portata – che potrebbero quindi comprometterne la funzionalità, con il rischio potenziale di comprometterne ancora di più lo stato di qualità già attualmente "non buono" ai sensi della Direttiva 2000/60 CE".

Si tratta di un rischio che, a nostro avviso, è opportuno non assumere, anche in considerazione della possibilità che si ripetano annate particolarmente siccitose, come quelle già verificatesi nei primi anni Novanta del secolo scorso, in cui la portata del Tara scese ad un minimo di 2017 litri al secondo.

Occorrerebbe invece pensare ad azioni che tutelino e valorizzino, anche ai fini dello sviluppo di un turismo sostenibile, l'area delle sorgenti del Tara.

Si segnala che il progetto del dissalatore, incluso inizialmente in quelli proposti per l'utilizzo delle risorse del Just Transition Fund non è stato ritenuto idoneo dalla Commissione VIA VAS del Ministero dell'Ambiente che ha rilevato che l'effetto dell'intervento risulterebbe negativo rispetto agli obiettivi "Salvaguardare e migliorare lo stato di conservazione di specie e habitat per gli ecosistemi, terrestri e acquatici", "Mantenere la vitalità dei mari e prevenire gli impatti sull'ambiente marino e costiero" e sugli altri correlati.

Rispetto agli impatti ambientali sulla matrice ecosistemica, una prima caratterizzazione delle cenosi presenti nel corso d'acqua è presente nella relazione di Arpa Puglia. Tale relazione di prima caratterizzazione rappresenta indubbiamente un indispensabile passo iniziale, che correttamente individua la vulnerabilità del corso d'acqua nelle sue componenti biotiche, ma non arriva invece a definirne il secondo, indispensabile parametro valutativo che è quello relativo al suo valore.

Di fatto, pochi sono i taxa individuati fino al livello di specie nella relazione dell'ARPA, proprio in ragione della domanda preliminare cui essa risponde (che è proprio quella della qualità-resilienza del corpo idrico nel suo stato attuale e complessivo) ed alle metodologie di caratterizzazione speditiva che a tale domanda iniziale ben rispondono.

Una volta appurato, come in Relazione, che un prelievo aggiuntivo come quello in progetto avrebbe indubbiamente un impatto rilevante sull'ecosistema, per via della sua vulnerabilità intrinseca, emergono chiaramente un'altra serie di domande cui diventa necessario rispondere, riguardanti aspetti che non sono stati trattati nella relazione dell'ARPA perché attinenti ad uno studio successivo, di secondo livello, ossia:

- Esistono delle specie di particolare pregio, rispetto al contesto regionale?

- Quali sarebbero gli impatti potenziali, su tali specie, prodotti del prelievo in oggetto?

Rispetto alla presenza di specie di interesse quantomeno regionale, già il buonsenso basterebbe per dare una risposta positiva, considerando come sull'intero territorio regionale, corsi d'acqua con le caratteristiche di qualità delle acque del Tara sono più che rari - questi ambienti possono da un lato essere equiparati ad indispensabili step-stone per la diffusione di specie particolarmente esigenti e localizzate e, d'altra parte, sono spesso caratterizzati dalla presenza di specie endemiche.

Una riprova immediata di quanto sopra affermato è immediatamente rinvenibile già nella Relazione dell'ARPA, pur essendo questa, come già rimarcato, indirizzata unicamente ad una prima caratterizzazione speditiva del corso d'acqua.

E difatto, fra le specie macrofite presenti con una popolazione considerevole, troviamo ad esempio la Vallisneria spiralis L., una specie che in tutta Italia è in considerevole e costante riduzione perché estremamente sensibile all'inquinamento dell'acqua in cui vegeta - da notare anche come il suo areale nell'Italia meridionale sia fortemente frammentato, per cui le già rare popolazioni pugliesi - uniche per l'Italia meridionale - sono del tutto separate da quelle più prossime, che si attestano nel Lazio.

Ancora, lo studio preliminare dell'ARPA rileva pure la presenza del Polygonum hydropiper L., indicazione che costituirebbe la prima segnalazione di tale specie sul territorio pugliese.

Venendo poi al macrobenthos, pure con tutti i ricordati limiti della caratterizzazione speditiva, non possiamo non notare l'indicazione di presenza del gasteropode sorgentizio Pseudamnicola orsinii (Küster, 1852), che tuttavia in letteratura scientifica risulta presente unicamente nella fascia adriatica della penisola.

Ma questi, chiaramente, sono tutti spiragli di un valore che non è ancora stato stimato, valutazione invece che è a questo punto indispensabile ed ineludibile, un valore che talora possiamo solo dedurre dagli insufficienti dati a disposizione, ad esempio, nel leggere in Relazione ARPA della presenza nel macrobenthos di "larve di Coenagrionidae" è innegabile che il pensiero di chi conosce questa specifica tipologia d'ambienti vada alla potenziale presenza del Coenagrion castellani, specie sorella, endemica ed ad areale ancor più limitato della Coenagrion mercuriale, che viene indirizzata come a rischio, specie indice da tutelare in interventi di salvaguardia degli ecosistemi fluviali di tutta Europa.

Per queste ragioni appare indispensabile uno studio di secondo livello, che definisca queste componenti di pregio, alcune come si è visto di già acclarata presenza, altre da indagare, in modo da utilizzarle per comprendere le soglie di criticità ed esse connesse.

Anche lo studio del Politecnico di Torino e l'ipotesi di garantire il rilascio di valori minimi di Deflusso Ecologico attraverso una riduzione per alcuni mesi del volume trattato dall'impianto di dissalazione - nell'unico scenario allo stato effettivamente plausibile, ALTERED 21, che prevede un uso plurimo (irriguo, industriale, potabile) pur comportando una riduzione della risorsa idrica erogata pari a quasi il 30% e, quindi, una erogazione inferiore a 450 l/s - non consentirebbe di avere uno stato di qualità sempre Buono, ma per periodi consistenti solo Sufficiente e, quindi, appare peggiorativa rispetto alla situazione attuale determinando un ulteriore impatto negativo del progetto nonostante una rilevante riduzione ipotizzata della capacità produttiva dell'impianto proprio nei mesi di maggiore richiesta di acqua, con una ricaduta negativa sulla effettiva capacità di ridurre lo sfruttamento della falda.

Oltretutto, come indicato dallo studio, le simulazioni idrodinamiche e la stima di substrati e zone di rifugio poste alla base dello stesso non sono state validate tramite dati raccolti sul campo e la validazione è prevista nei primi mesi del 2024 per verificare correttezza e veridicità dei dati simulati.

Stante la fragilità del sistema Tara e le risultanze della relazione ARPA appare quindi necessario che in primo luogo si riformuli lo studio dopo aver acquisito sul campo i dati necessari a validarlo.

In ogni caso si ritiene che il Deflusso Ecologico minimo da garantire sia quello che permetta per tutti i 12 mesi dell'anno, senza interruzione, di raggiungere un stato di qualità Buono per le acque del Tara. A nostro avviso solo questa misura appare – peraltro - in grado di rispondere alle indicazioni della Direttiva 2000/60/CE che prescrive di conseguire un buono stato delle acque ed un buon potenziale ecologico. Tale scenario non risulta presente tra quelli riportati dallo studio del Politecnico di Torino.

Appare inoltre opportuno sottolineare che nel periodo di 26 anni considerato dallo studio, dal 1991 al 2017, ben 7 anni (1991-94 e 2001-03) risultano caratterizzati da scarsità idrica. E' lecito supporre che quantità temporali perlomeno analoghe possano ripresentarsi nel prossimo futuro per un peggioramento della crisi climatica in atto, con evidenti ricadute in termini di minori risorse idriche disponibili anche nel fiume Tara. Manca una stima della produzione stimata in funzione del rilascio di valori minimi di Deflusso Ecologico tenendo conto dei periodi di probabile crisi idrica: sicuramente, in ogni caso, i valori di circa 20milioni di metri cubi annui appaiono irrealistici se consideriamo anche solo il ripetersi di analoghi periodi di scarsità idrica.

IL PRELIEVO INDUSTRIALE

Un ulteriore elemento di criticità è costituito dal contratto tra EIPLI ed ILVA per i prelievi industriali dal Tara. Premesso che continuiamo a ritenere inconcepibile che non si sia proceduto a svincolare il Tara da questa servitù obbligando l'azienda a rifornirsi dalle acque depurate dell'impianto di Gennarini in un'ottica di riuso e quindi di risparmio delle scarse risorse idriche a disposizione degli altri usi oltre che della rinaturalizzazione dell'ambiente fluviale del Tara, ciò che preme segnalare è il diritto contrattualmente previsto per ILVA di ricevere acqua dal sistema Sinni, e quindi acqua dolce, in caso di indisponibilità della risorsa Tara a fini industriali: una eventualità che non può non essere ritenuta esiziale.

L'attuale proprietà dello stabilimento siderurgico di Taranto, infatti, risulta titolare del contratto a tempo indeterminato stipulato a giugno 1991 da ILVA con EIPLI per la fornitura di acqua dal Tara per quantità, 1500 litri al secondo, molto superiori all'attuale prelievo, con obbligo di compensare con acque del sistema Sinni in caso di restrizioni.

L'EIPLI, ha perfezionato con la Regione Puglia il rinnovo della concessione di Grande Derivazione sul fiume Tara n. 335 del 13/02/1965, concordando un uso plurimo (irriguo e industriale) per una portata massima di 1.100 litri al secondo, in base alla seguente ripartizione: 300 litri al secondo ad uso irriguo indicativamente per il periodo maggio/ottobre e 800 litri al secondo ad uso industriale durante l'intero anno.

La diversa definizione delle quantità prelevabili presenti nel contratto rispetto agli accordi tra Regione ed EIPLI è preoccupante specie alla luce delle considerazioni dell'azienda siderurgica riportate nel verbale della conferenza dei servizi in cui la stessa ha già specificato che le esigenze quantitative e qualitative di acqua necessarie agli impianti del siderurgico vanno riferite alla capacità produttiva autorizzata dal DPCM 29.9.2017 e dall'A.I.A. 547/2012.

Ad evitare futuri contenziosi e possibili massicci usi delle acque del Sinni per fini industriali, stante le considerazioni dell'azienda siderurgica riportate a verbale tese ad affermare il suo diritto a garantirsi comunque la risorsa idrica necessaria a fini produttivi anche in presenza di un fortissimo incremento rispetto agli attuali 3 milioni di tonnellate annue prodotte, appare prioritaria la necessità di acquisire dalla azienda siderurgica un impegno formale a mantenere i propri prelievi dal Tara all'interno di una soglia determinata, possibilmente inferiore agli attuali consumi o, comunque, compresa in quelli indicati nella concessione Regione/EIPLI .

A proposito di tale soglia segnaliamo che la cifra considerata dallo studio dell'IRSA di 500 l/s appare aleatoria considerate le dichiarazioni aziendali su riportate, e che lo studio del Politecnico fa riferimento ad un prelievo ben maggiore, pari a 800 l/s, conforme alla concessione tra Regione ed Eipli. Considerando tale ultimo parametro, se fosse necessario utilizzare tutta la portata concessa per far fronte agli usi irrigui e, contemporaneamente, Acciaierie d'Italia chiedesse di utilizzare tutta la portata disponibile a fini industriali, il prelievo totale dal Tara, considerando anche i 1000 litri al secondo da destinare al dissalatore, eccederebbe complessivamente i 2mila litri al secondo, superando così in maniera molto rilevante, ben il 33%, il prelievo di portata sino a 1500 litri al secondo cui si riferisce il giudizio di idoneità del sistema Tara asserito dallo studio del CNR-IRSA che accompagna il progetto e che, quindi, risulta fondato su un parametro facilmente non coincidente ciò che potrebbe effettivamente verificarsi.

In alternativa, per mantenere il prelievo nei limiti complessivi di 1500 l/s occorrerebbe ridurre a soli 400 l/s la quantità idrica disponibile per l'impianto di dissalazione, meno della metà di quella ipotizzata in progetto, con una erogazione di acqua potabile pari a circa 250 l/s e limitati effetti sull'obiettivo di riduzione del prelievo dalla falda.

IL MONITORAGGIO

Centrale, in un'ottica di riduzione del rischio di creare danni rilevanti all'ecosistema fluviale, appare la necessità di garantire un monitoraggio in continuo della portata del Tara a valle della presa in modo che non si scenda mai sotto la soglia di 2mila m3/secondo, anche attraverso l'intervento e/o la comunicazione dei dati a soggetti pubblici (enti locali, Arpa) terzi rispetto al gestore dell'impianto. La previsione contenuta nel Piano di monitoraggio per quanto riguarda l'ambiente idrico di una frequenza stagionale non appare idonea a determinare un sufficiente controllo dei parametri relativi al Deflusso Ecologico minimo.

Per ciò che attiene l'habitat e la componente animale, invece che un monitoraggio annuale, appare indicato un monitoraggio perlomeno stagionale.

L'IMPATTO SUL PAESAGGIO

Anche sotto l'aspetto paesaggistico l'impianto impatta negativamente con il contesto. In primo luogo perché interrompe un positivo processo di rinaturalizzazione, conseguito alla riduzione del prelievo a fini irrigui, di un contesto fortemente segnato soprattutto dalla grave manomissione conseguente alla realizzazione del molo polisettoriale.

Il dissalatore, inoltre, risulta estraneo alle indicazioni del DPP2023 adottato dal Comune di Taranto, che considera l'area quale contesto rurale, di valorizzazione agricola, che prevede azioni orientate a Salvaguardia e Valorizzazione del paesaggio rurale.

La realizzazione del dissalatore appare poi in contrasto con la strategie di fondo del PPTR di sviluppo della autosufficienza energetica locale coerentemente con l'elevamento della qualità ambientale ed ecologica: solo una minima parte dell'energia necessaria rinverrà da fonti rinnovabili in sito. Il resto comporterà l'emissione di elevate quantità di CO2 che costituiscono certamente un sicuro danno ambientale.

Infine, nei territori costieri sono ammissibili "realizzazioni di opere infrastrutturali a rete interrate pubbliche o d'interesse pubblico a condizione che siano dimostrate di assoluta necessità": la mancata considerazione dell'alternativa costituita dalla attivazione della traversa Sarmento, dell'apporto del Sauro e la mancata quantificazione degli apporti rivenienti dalla riduzione delle perdite della rete rende non soddisfatta questa condizione.

In ogni caso riteniamo che in aree sensibili e, comunque, nelle aree del Parco Naturale Regionale Mar Piccolo e del Parco Naturale Regionale Terra delle Gravine, andrà garantita e monitorata la tutela per patrimonio vegetale esistente che non andrà compromesso, evitando interferenze tra la posa in opere delle condotte e l'apparato radicale. La compatibilità che nel SIA viene data per scontata con l'adozione di tecnica no-dig e microtunneling va suffragata da opportuni studi sito-specifici.

Infine, anche la ipotizzata mitigazione dell'impatto negativo paesaggistico tramite il reimpianto di una fascia di ulivi appare insufficiente a schermare effettivamente il manufatto: si ritiene che effetti significativi potrebbero essere ottenuti perlomeno triplicando la fascia perimetrale oggetto dell'intervento, portandola a 25 metri e, contemporaneamente, incrementando parimenti il numero di alberature oggetto di reimpianto.

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